L’aggressione da parte dell’uomo alle risorse naturali, a partire dalla biodiversità, sta minacciando ormai la sua stessa sopravvivenza.
Già nel 2005 un progetto di ricerca promosso dall’ONU denunciava che il 60% dei servizi eco-sistemici del pianeta erano stati degradati precisando, inoltre, che il tasso di estinzione delle specie era di circa 100/1000 volte superiore al tasso naturale (Millennium Ecosystem Assessment, 2005. Ecosystems and Human Well-being: Synthesis. – Island Press, Washington, DC.).
Dopo più di un decennio, uno studio pubblicato su “Science”, stimava che “l’uso del suolo e le pressioni correlate hanno già ridotto l’integrità della biodiversità locale – la percentuale media di biodiversità naturale residua negli ecosistemi locali – nel 58,1% della superficie terrestre del mondo, dove vive il 71,4% della popolazione” (Newbold T et al. Science 15 Jul 2016: Vol. 353, Issue 6296, pp. 288-291).
Alla fine del 2018 il WWF, nel suo “Living Planet Report 2018”, calcola che la pressione dell’uomo sulla natura è aumentata del 190% nell’ultimo mezzo secolo, con una perdita del 60% delle popolazioni dei vertebrati e che il 75% della superficie terrestre abbia ormai perso le sue condizioni di naturalità.
Ma la gravità della situazione non è denunciata solo dalla Comunità scientifica o da Organizzazioni ambientaliste se, all’alba del 2019, anche i maggiori esponenti della politica e dell’economia internazionale, dal World Economic Forum, lanciano l’allarme: “i rischi ambientali, in particolare la perdita di biodiversità, rappresentano le più grandi sfide, sempre crescenti, con cui l’umanità deve fare i conti” (World Economic Forum – The Global Risks Report 2019, 14th Edition).
D’altronde, già nel 2013, la pubblicazione dei dati di una ricerca scientifica internazionale (Trucost plc – Natural Capital at Risk – The Top 100 Externalities of Business, London 2013) evidenziava che le esternalità ambientali prodotte a livello globale, tra cui spiccava la perdita di biodiversità, costavano, ogni anno, circa 4.700 miliardi di dollari.
L’approccio moderno e industriale, che, dalla seconda metà del secolo scorso, caratterizza l’agricoltura, è una delle cause principali della perdita di biodiversità.
In effetti, secondo il già citato report del WWF, la perdita del 75% delle piante ed animali estintesi negli ultimi 500 anni, sarebbe da imputare all’agricoltura.
La FAO nel suo primo e recentissimo rapporto, di fine febbraio 2019, sullo stato della biodiversità mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura, denuncia, con forza, che il modello attuale di agricoltura, industriale ed estensivo, è in cronica e gravissima difficoltà, come sperimentano molti agricoltori, con gravi ripercussioni anche per la salute mondiale, ricordando a tutto il Mondo che “la biodiversità è la base necessaria dei nostri sistemi alimentari” (FAO. 2019. The State of the World’s Biodiversity for Food and Agriculture, J. Bélanger & D. Pilling eds)
Un esempio tratto dallo stesso report: il 75% delle colture alimentari mondiali dipende dall’impollinazione, ma il 17% delle specie di impollinatori vertebrati è gravemente minacciato dalle stesse tecniche di produzione agricola, così come molte specie di uccelli, pipistrelli e insetti che aiutano a mantenere l’equilibrio naturale e produttivo.